Ruanda. Il 6 aprile 1994 il Presidente della Repubblica Juvenal Habyarimana è stato assassinato nell’esplosione del suo aereo. Quella stessa sera, iniziano i 100 giorni che vanno oltre l’umana immaginazione. In questo piccolo stato africano privo di sbocchi al mare che per dimensioni equivale grosso modo ad un terzo della Danimarca, circa 800.000 persone di etnia tutsi furono fatte a pezzi e uccise una a una dai loro vicini hutu.
Non ci sono assassini di professione, non esistono armi, si tratta di una pura e cruda battuta di caccia in cui esseri umani muniti di un rudimentale strumento simile ad un’ascia, il machete, solitamente utilizzato per le mansioni agricole e per uccidere il bestiame, vanno alla ricerca di altri esseri umani. “Il bastone è più devastante, ma il machete viene più naturale (…) La lama, quando la usi per tagliare un ramo, un animale, un uomo, non dice una parola. In fondo un uomo è come un animale; gli tagli la testa o il collo, e crolla a terra da solo”.
Le battute vengono chiamate semplicemente “le carneficine” e quando gli hutu vedono i tutsi negli acquitrini, non vedono più degli esseri umani, ma semplicemente cacciano come bestie. In quei cento giorni di primavera istinti bestiali si sono impossessati degli animi umani.
Nel libro, la parola viene data direttamente agli autori dei massacri che raccontano le giornate di lavoro nei campi alla ricerca dei tutsi da uccidere, dei vecchi amici da massacrare, delle donne incinta da sventrare e dei nascituri da sbattere contro gli alberi. Si narrano i saccheggi, le feste serali e la vita che scorre con assoluta normalità.
“Gli occhi di qualcuno che uccidi sono immortali, se te li trovi di fronte al momento fatale. Sono di uno spaventoso colore nero. Gli occhi della persona che uccidi sono il rimprovero della persona che stai uccidendo”. Confessioni uniche che ci costringono a confrontarci con l’inimmaginabile insito in ognuno di noi.
La narrazione dell’autore è completa, dettagliata, analitica. Si va nell’intimo dei massacri per comprenderne la ragione. Si cerca di dare un motivo al genocidio ruandese per poi scoprire che una ragione è nella follia umana. Si cerca un parallelismo con l’Olocausto per poi scoprire che così come in Germania anche in Ruanda il genocidio è sempre progettato da regimi totalitari lungamente e saldamente al potere. L’eliminazione degli ebrei come dei tutsi che viene inserita nei programmi politici, puntualmente ripetuta nei discorsi ufficiali è pianificata per tappe successive ad andamento esponenziale, nell’incredulità della comunità internazionale. “Perchè il genocidio va oltre la guerra, perchè l’intenzione dura per sempre, anche se non è coronata dal successo. Un genocidio è quando un’etnia vuole seppellire un’altra etnia”.
I carnefici entrano nelle viscere dei propri ricordi, narrando umana che il delirio e l’abominevole crudeltà che si è impossessata di loro in quei cento giorni di mattanza a colpi di machete. Un libro che costituisce una pietra miliare della narrativa moderna, un volume che va obbligatoriamente letto e gelosamente custodito tra gli scaffali della memoria. Per non dimenticare, per cercare di comprendere, per farsi un’idea e non una ragione, per passare al setaccio le dinamiche di questo nostro mondo perchè, come dirà uno dei sopravvissuti, in Ruanda “sono avvenute cose abnormi compiute da persone assolutamente normali”.
Recensione di Salvatore Di Noia
Titolo: A colpi di machete
Editore: Bompiani
Autore: Jean Hatzfeld
Prima edizione: settembre 2004
Pagine: 302
Illustrazioni: SI
Codice ISBN: 8845232506