Un popolo, una nazione, una squadra: la filosofia dell’Athetic Club di Bilbao

"Dio creò solo una squadra perfetta, recita un famoso detto bilbaino, le altre le riempì di stranieri"

Messi, Ronaldo, Neymar…quale bambino non sogna di indossare un giorno quella maglia, o semplicemente di avvicinarsi e sfiorare il proprio beniamino o solo vedere il proprio fenomeno da lontano calciare un pallone ed esultare per un gol. Ma fortunatamente non sempre è così perchè c’è una città molto piovosa, in cima alle classifiche europee di sostenibilità ambientale, in cui “ancora oggi è difficilissimo vedere un bambino con la maglietta di Messi o di Cristiano Ronaldo. Piuttosto mostrano con orgoglio i nomi di Inaki Williams, Iker Munain o del portiere Unai Simon. Nessuno di questi è un personaggio di fama mondiale. Per la verità non sono nemmeno personaggi. Però a Bilbao sono idoli.” Le parole trascritte sono di Santiago Segurola, cronista basco che con poche frasi ha sintetizzato al meglio il concetto d’appartenenza che i tifosi baschi riservano per la loro squadra, l’Athletic Club.

A Bilbao, città che negli ultimi decenni si è evoluta da città industriale ed inquinata a modello europeo di cultura e sostenibilità i colori sono soprattutto quelli biancorossi del calcio. Troppe volte associato ad una questione politica, l’Athletic Bilbao è semplicemente l’espressione calcistica di una comunità, quella basca, fiera, combattiva ed orgogliosa che rende questa società unica ed immediatamente identificabile da chiunque segua il mondo del calcio e non solo. Si tratta dell’idioma di un territorio a cui nessun basco è disposto a rinunciare perchè chi è di Bilbao tifa Athletic esattamente come chi indossa quella maglia, i Rojiblancos, dal colore della loro divisa, o meglio ancora Los Leones, i leoni (lo stadio di San Mamés è costruito vicino a una chiesa dedicata a Mamés conosciuto in Italia come Mamante, un antico cristiano che i Romani diedero in pasto ai leoni, i quali, però, si rifiutarono di mangiarlo).

Un club unico al mondo, in cui calciatori possono essere solo e rigorosamente di origine basca, essere nati in una delle sette province che ne compongono la regione o pur essendo nati in un’altra parte del globo, essere cresciuti nel settore giovanile di una squadra basca. Gli atleti qui si costruiscono in casa, per formarli da un punto di vista tecnico ed educarli nel rispetto dello spirito che contraddistingue la società dal 1899. Dieci anni fa un sondaggio della dirigenza posto ai tifosi sulla possibilità di ingaggiare giocatori stranieri ha avuto il 94% di risposte negative, a testimonianza del fatto come i tifosi siano legati alla tradizione del club e sono assolutamente contrari a qualsiasi involuzione in tal senso.

Tuttavia, per mantenere la sua internazionalità, l’Athletic Club ha conservato la h nel suo nome per sottolineare la sua “origine britannica” dovuta ai rapporti commerciali che la regione aveva col Regno Unito nel 1800 e che spinse i baschi a quello sport così tanto affascinante qual è il football.

Ma non solo. Dal 2008 il club ha dato il via libera per inserire lo sponsor sulla maglia ufficiale (la compagnia petrolifera basca Petronor oggi sostituito dalla locale Kutxabank) dopo oltre 110 anni di storia. Ed a definire alla perfezione il concetto di integralismo che evolve, di un concetto che muta, cresce, si adatta ai tempi, al contesto storico presente, è arrivato l’idolo del momento, quel ragazzo di colore di origine ghanese, nato a Bilbao nel 1994, Inaki Williams che oggi indossa la maglia più presigiosa di sempre, la numero 9. Numeri importanti, eventi chiave, assist perfetti per raccontare l’evoluzione di un club che rimane autentico ed essenziale.

Essere baschi significa essere un tutt’uno con la propria terra e giocare nell’Atletico Bilbao è la celebrazione di un sogno che diventa realtà. Scendere in campo al San Mamès indossando la rojablanca, la maglietta a strisce biancorosse ti erge ad idolo di sessantamila anime che dagli spalti tifano senza soluzione di continuità per novanta minuti. Ma è l’inno a mettere i brividi. Composto nel 1983 dal maestro Feliciano Beobide, con riadattamento di Carmelo Bernaola, il testo è interamente in basco, a differenza dei precedenti inni risalenti al 1913 ed al 1950 il cui testo era in spagnolo. Il testo è stato scritto da Juan Antón Zubikarai e l’inno originale è stato eseguito dal coro della ABAO (Asociación Bilbaina de Amigos de la Ópera – Associazione Bilbaina degli Amici dell’Opera). È stata anche incisa una versione punk rock dal gruppo M.C.D.

La sua melodia ricorda molto quella di un inno nazionale, con intervalli molto vicini alla lirica. Ciò è dovuto al fatto che nelle parole troneggia l’appartenenza di un popolo verso dei colori con cui si mira a far conoscere all’intero mondo la cultura basca, ben diversa, e molto, da quella spagnola.

Athletic, Athletic, Athletic eup! (Athletic, Athletic, Athletic hurrà!)
Athletic, gorri ta zuria (Athletic rosso e bianco)
danontzat zara zu geuria (per tutti tu sei nostro)
Erritik sortu ziñalako (perchè sei nato dal popolo)
maite zaitu erriak (il popolo che ti ama)

Gaztedi gorri-zuria (Gioventù rossa e bianca)
zelai orlegian (nel verde campo)
Euskalerriaren erakusgarria. (un esempio per l’Euskal Herria)
Zabaldu daigun guztiok ( ad esso)
Irrintzi alaia: (il grido d’esultanza:)
Athletic, Athletic (Athletic, Athletic)
zu zara nagusia (sei il migliore)
Altza Gaztiak (viva gioventù)

Athletic, Athletic, (Athletic, Athletic)
gogoaren Indarra. (forza della volontà)
Aritz zarraren enborrak (Il tronco della vecchia quercia)
loratu dau orbel barria. (una nuova foglia ha germogliato.)

Aupa mutilak! (Andiamo ragazzi!)
aurrera gure gaztiak! (Forza, o nostra gioventù!)
Bilbo ta Bizkai guztia (Bilbao e tutta la Vizcaya)
goratu bedi munduan (saranno sostenute in tutto il mondo)
Aupa mutilak! (Andiamo ragazzi!)
gora beti Euskalerria! Viva Euskal Herria!)
Athletic gorri-zuria (Athletic rosso e bianco)
geuria. (il nostro, sempre.)

Bilbo ta Bizkai guztiak gora! (Andiamo giovani di Bilbao e Vizcaia!)
Euskaldun zintzoak aurrera! (Avanti nobili uomini di lingua basca!)

L’Athletic Club è uno dei tre club spagnoli ad aver partecipato a tutte le edizioni della Primera División (record condiviso con il Real Madrid ed il Barcellona). È inoltre, dopo Barcellona e Real Madrid, la terza squadra più titolata di Spagna, potendo annoverare nel suo palmarès 8 campionati di massima divisione, 23 Coppe del Re, 3 Supercoppe di Spagna ed una Coppa Eva Duarte, per un totale di 35 trofei ufficiali a livello nazionale. È inoltre quarta per numero di campionati nazionali vinti, dietro a Real Madrid, Barcellona ed Atletico Madrid

Molti si chiedono come sia stato possibile mantenere nel corso della propria storia questa unicità in ambito sportivo tesserando esclusivamente giocatori baschi o calciatori cresciuti nel proprio vivaio avendo a disposizione una popolazione di poco più superiore ai due milioni di abitanti in un’area più piccola dell’Abruzzo.

Semplice… essere baschi, indossare la rojablanca, calciare un pallone ed avere un po’ di orgoglio nazionalistico. Come in una storia d’altri tempi ciò crea una pozione magica in cui la volontà e la forza si amplificano, il desiderio di arrivare ai vertici aumenta e la voglia di appartenere alla storia rafforza quella tenacia non comune che ha permesso a tanti ragazzi di Euskadi, di varcare le soglie del San Mamès.

Raccontare la storia del San Mamés significa soprattutto, pensare al vecchio stadio, l’originale Catedral, uno dei simboli del calcio europeo per un secolo esatto, dal 1913 al 2013, il primo stadio spagnolo costruito appositamente per il calcio. L’Athletic Bilbao ha legato ogni aspetto di sé a quell’impianto, inizialmente composto da tre semplici gradinate in terra e una tribuna principale in splendido stile tardo-ottocentesco, opera dell’architetto Manuel Maria Smith.

In questo stadio, subito dopo la sua scomparsa, trovò posto il busto in onore di Rafael Moreno Aranzadi, detto “Pichichi”, bandiera del club fra gli anni dieci e gli anni venti del Novecento, primo giocatore a segnare al San Mamés e oggi ricollocato nel nuovo San Mamès subito dopo gli scalini che dagli spogliatoi conducono al rettangolo di gioco.

Si perchè nel 2013 il vecchio stadio ha lasciato spazio al nuovo San Mamès dopo cento anni. La nuova Catedral è impressionante dal di fuori e semplicemente strabiliante dall’interno. Uno scrigno magico interamente biancorosso. Un catino a due livelli tirato a lucido che ribolle ripido sul campo, segnato dal rosso acceso dei seggiolini, con quel profilo superiore ondulato che come una marea vivente ansima e sussulta sulla scia delle gesta dei propri beniamini. Perchè la Catedral è un’anima viva che non muore mai. Il nuovo San Mamès è stato costruito ruotando di 90° il suo predecessore, con l’attuale curva sud posizionata sul luogo della vecchia tribuna nord, la tribuna principale dell’originale Catedral. Un’opera architettonica mastodontica che ha proiettato il vecchio verso il nuovo senza spostare le abitudini di un popolo che da oltre un secolo ogni domenica percorre le solite arterie per tuffarsi integralmente nella propria tradizione e cultura.

Oggi al nuovo San Mamès, chi è sugli spalti è come se fosse in campo, chi è in campo è come se fosse sugli spalti. Le gesta sono sempre e comunque leggendarie ed apparterranno per sempre alla storia di un popolo perchè a Bilbao vige una cultura in cui il tifoso vale tanto quanto l’atleta e che si esca dal campo vincitori o sconfitti il concetto di appartenenza rende tutti vincenti o perdenti allo stesso modo. Dopotutto l’Athletic è l’unica squadra alla quale i tifosi non chiedono di vincere, ma di resistere. 

Un sogno utopistico che resiste al mondo globalizzato, una cultura sportiva e politica che fronteggia le tentazioni del nuovo Millennio in cui un pallone fa ancora sospirare tanti piccoli sognatori che si ispirano ad un marchio indelebile di appartenenza, tradizione e cultura assolutamente encomiabili. 

In fondo Dio creò solo una squadra perfetta, recita un famoso detto bilbaino, le altre le riempì di stranieri.

REPORTAGE FOTOGRAFICO

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